IL DATORE DI LAVORO NON MI CORRISPONDE LA RETRIBUZIONE. LAVORO IN APPALTO

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L’Art. 1655 del C. Civile definisce l’appalto di lavori o servizi come “Il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro”.

Ciò significa che l’appaltatore si assume il rischio economico della prestazione.

Uno dei dubbi principali che caratterizzano la fattispecie dell’appalto riguarda il regime di Responsabilità Solidale che vige tra committente e appaltatore (eventualmente anche subappaltatore). Tale tipologia di responsabilità prevede, in sostanza, che se il datore di lavoro (appaltatore) non adempie all’obbligo di retribuzione nei confronti del lavoratore, dovrà farlo chi ha tratto vantaggio dalla prestazione lavorativa fornita, ossia il committente. La nozione di solidarietà appare chiarita nell’Art. 1292 del C. Civile che sancisce: “L’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri: oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori”.

Nell’ambito dell’Appalto, proprio a tutela dei lavoratori impiegati nella realizzazione dell’opera per la quale il contratto di appalto è stato stipulato, la Legge impone che la responsabilità ricada sul Committente in caso di inadempienza da parte dell’Appaltatore. Parliamo, quindi, di un regime di Responsabilità Solidale.

Tale responsabilità fa riferimento ai trattamenti retributivi e ai contributi previdenziali spettanti al lavoratore nel periodo in cui è stata adoperata la sua manodopera in esecuzione del contratto d’appalto. La disciplina sulla responsabilità solidale in merito alla fattispecie dell’appalto è contenuta nell’Art. 1676 C. Civile che sancisce che “coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”, ma anche nell’ Art.29 comma 2 D.lgs. 273/2003 che sancisce che “il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori”.

Tali disposizioni attribuiscono al lavoratore la facoltà di agire in giudizio direttamente nei confronti del committente per il soddisfacimento dei crediti retributivi accumulati nel periodo durante il quale hanno prestato la propria manodopera per l’esecuzione del contratto di appalto.

Il committente, ovviamente, risponde solo limitatamente al debito generatosi nei confronti dell’appaltatore e, pertanto, nel caso in cui l’appaltatore abbia integralmente conseguito il corrispettivo convenuto per l’appalto o abbia corrisposto le retribuzioni ai propri ausiliari, viene automaticamente meno la responsabilità solidale del committente. Esiste però un termine di decadenza dell’operatività della garanzia. Esso è stato fissato a 2 anni dalla cessazione del contratto di appalto (Art. I comma 911 L. n. 296/2006).

Per quanto riguarda l’ONERE DELLA PROVA nei giudizi riguardanti la responsabilità solidale nel contratto di appalto, ci si è chiesti spesso se esso spetti al lavoratore o al committente. In merito a tale questione si è espressa la Corte di Cassazione nella Sent. n.834 del 15 gennaio 2019, sancendo che “Il principio di solidarietà tra committente, appaltatore e subappaltatore sancita dall’articolo 29, comma 2, del Dlgs. n. 276/03, che garantisce il lavoratore circa il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all’appalto cui ha personalmente dedicato le proprie energie lavorative esonera il lavoratore dall’onere di provare l’entità dei debiti gravanti su ciascuna delle società appaltatrici convenute in giudizio.

Possiamo dire, quindi, che secondo la Cassazione, la ripartizione interna dei debiti riguarda i due responsabili solidali (committente e appaltatore) mentre il lavoratore è semplicemente tenuto a provare di aver prestato la propria attività lavorativa ad essi. Pertanto, non spetterà al lavoratore dover provare che, durante il periodo per cui richiede il pagamento dei propri trattamenti retributivi, ha prestato la propria attività lavorativa in esecuzione del contratto di appalto, ma saranno le due parti che hanno giovato di tale prestazione lavorativa a dover fornire le prove utili a dirimere la controversia e a stabilire chi delle due dovrà adempiere all’obbligazione nei confronti del lavoratore.

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Avv.Laura Lieggi