Discriminazione delle donne medico

blocco

Preambolo

Molto frequenti sono i casi di discriminazione di genere comportanti la violazione dei principi di uguaglianza e di pari opportunità che riguardano le donne medico, per le quali è più difficile diventare ed essere madri ed è più complicato conciliare lavoro e famiglia, raggiungere posizioni apicali e frequentare un corso di aggiornamento professionale.

Le norme

Le norme di riferimento sono l’art. 28 del T.U., l’art.2087 c.c. e la L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 1 e 2.

La questione

Nella fattispecie una donna medico che prestava servizio presso una ASL rientrava sul posto di lavoro a seguito del periodo di congedo per maternità e si vedeva assegnate la metà delle reperibilità previste nei giorni festivi presenti in un mese e anche i turni di lavoro ordinari le venivano assegnati con criteri diversi rispetto agli altri medici (uomini) della struttura, i quali sceglievano gli orari a loro più confacenti, senza effettuare una reale turnazione. La dottoressa veniva sistematicamente destinata ai turni di prima reperibilità, nonostante avesse maturato l’anzianità necessaria per poter accedere ai turni di seconda reperibilità, o a quelli nei giorni festivi, trascurando le rilevanti difficoltà di una lavoratrice madre di un bimbo piccolissimo nel gestire turni in giornate festive.

L’emarginazione e l’isolamento si manifestavano anche con la sottrazione dei mezzi utili per l’espletamento dell’attività lavorativa, come l’utilizzo del computer e della connessione internet, ed inoltre, nonostante i dieci anni di servizio, la dottoressa veniva costantemente relegata in una stanza sempre più piccola di altre, con la privazione di spazi per il ristoro, lo spogliatoio e il bagno riservato.

La lavoratrice quindi veniva sottoposta a continui atti discriminatori con ingiustificate assegnazioni ai turni peggiori, ai lavori maggiormente gravosi, da espletare in assenza della strumentazione o della predisposizione del minimo indispensabile, nonché alla suddivisione dell’orario di lavoro su due strutture ospedaliere.

In merito al caso esaminato la L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 1 e 2 stabilisce che: “Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e comunque il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”. Inoltre la L. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 3 stabilisce che: “È vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera”.

Inoltre la stesura dell’art. 28 T.U. amplifica i profili di responsabilità (penale) a carico del datore di lavoro in ordine alla valutazione e prevenzione dello stress lavoro-correlato. Il datore di lavoro, pertanto, deve sempre attivarsi positivamente non solo per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, ma prevenire possibili eventi lesivi conseguenti il malessere e le disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali, che conseguono le persone, quando non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti, cogliendo quei potenziali indicatori di stress, di cui all’art.4 dell’Accordo europeo.

Avverso tale situazione la lavoratrice si rivolgeva alla scrivente studio legale che con il supporto della Consigliera di Parità territorialmente competente inviava una lettera ai direttori generali della ASL per intimare l’immediata cessazione del comportamento discriminatorio subito sul posto di lavoro.